Luigi Tenco, il poeta triste che voleva cantare per se stesso

Luigi Tenco fu un cantautore che smosse le coscienze e che col suo gesto estremo denunciò i soprusi del mondo della musica italiana

Luigi Tenco è stato sicuramente uno dei più grandi esponenti del cantautorato italiano e della scuola genovese in particolare.

Benché si sia formato nel capoluogo ligure, Tenco nasce il 21 marzo del 1938 a Cassine, in provincia di Alessandria. La sua infanzia, condivisa col fratello Valentino, è turbolenta non solo per motivi familiari, essendo Luigi nato fuori dal matrimonio, ma anche per via dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Separatasi definitivamente dal marito, la madre Teresa porta con sé i figli a Genova, dove si stabiliscono nel 1948. Teresa nutre grandi ambizioni nei confronti di entrambi i figli, motivo per il quale intende farli studiare.

una foto in bianco e nero di Luigi Tenco che canta a Sanremo nel 1967.
By Unknown author – https://www.lovefm.it/radio-post/luigi-tenco-si-suicida-dopo-leliminazione-dal-festival-di-sanremo.htm, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=92337839-artepassante.it

Tenco inizia a prendere lezioni private da un’insegnante, Sandra Novelli. Tale è il rapporto che lega Novelli a Luigi che la donna decide di prenderlo in casa con sé, introducendolo allo studio del pianoforte. La musica sembra essere qualcosa di naturale per il giovane, che inizia a interessarsi anche alla chitarra, al clarinetto e al sassofono. Il ragazzo dimostra un’intelligenza fuori dalla norma, riconosciuta dagli stessi parenti, che avrebbero voluto vederlo laureato. Tenco, invece, si ferma alla maturità scientifica, conseguita nel 1956, pur avendo tentato di laurearsi dapprima in ingegneria e poi in scienze politiche. Da allora, si dedicherà solo alla musica.

Genova, fra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, è un fermento culturale di altissimo livello. Dunque, quanto di più stimolante per il giovane Luigi. Nei carruggi Tenco incontra Bruno Lauzi, Gino Paoli e, soprattutto, Fabrizio De André. Fonda diversi gruppo musicali con i suoi amici, alternandosi in diversi ruoli, dal clarinettista al sassofonista.

Il trasferimento a Milano

Fra il ’58 e il ’59 Tenco si trasferisce a Milano. Lì, condivide l’appartamento col cantautore Piero Ciampi, apprezzato più in Francia che in Italia per le sue sonorità spiccatamente jazz. I due sono ospiti di Gian Franco Reverberi, il quale al tempo era arrangiatore presso la Dischi Ricordi. Reberberi introduce Luigi in studio come session man, affiancando Ornella Vanoni e Gino Paoli. Di lì a poco, Tenco e Ciampi lasciano la casa di Reberberi per trasferirsi in Galleria del Corso, dove vivevano anche altri artisti della scena musicale milanese come lo stesso Gino Paoli, Sergio Endrigo, Franco Franchi e Bruno Lauzi.

Il primo ingaggio è con la casa discografica Ricordi. Canta con il gruppo I Cavalieri, insieme a Reverberi, Paolo Tomelleri, Enzo Jannacci e Nando de Luca. Qui incise un EP con quattro brani: “Mai”, “Giurami tu”, “Mi chiedi solo amore” e “Senza parole”, in due 45 giri pubblicati a nome “Tenco”. Egli infatti preferisce non usare il proprio nome di battesimo a causa del proprio dichiarato schieramento politico. E non a torto, dal momento che il giovane era stato schedato dal SIFAR, il servizio segreto militare italiano.

una foto in bianco e nero di Luigi Tenco e Donatella Turri sul set del film "La cuccagna"
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Il successo negli anni Sessanta

L’esperienza milanese conferì a Tenco una certa fama, potendo quindi iniziare a partecipare ai primi tour e alle prime competizioni. Nel 1962 si cimenta anche nel cinema, nel lungometraggio di Luciano Salce “La cuccagna“, nel quale interpreta un giovane anarchico a Roma, che vive alla giornata e rifiuta istituzioni e compromessi di ogni sorta. Questo film in qualche modo inizia a rappresentare la cifra stilistica di Tenco come contestatore. In effetti, molte delle sue canzoni erano state poste sotto censura, come per esempio “Cara maestra“.
Nel 1965 è chiamato alla leva militare. Dichiaratosi antimilitarista, riesce a terminare il servizio in anticipo nel 1966 per via di una disfunzione alla tiroide. Nello stesso anno si trasferisce a Roma, dove firma un contratto con la RCA. Nella capitale incide il brano “Un giorno dopo l’altro”, che sarà poi la sigla dello sceneggiato televisivo “Il commissario Maigret”. Poi è il turno di “Lontano, lontano” (in gara a Un disco per l’estate 1966), “Uno di questi giorni ti sposerò”, “E se ci diranno” e “Ognuno è libero”.
Sempre a Roma, conosce la cantante italo-francese Dalidà, con la quale intreccia una complicata relazione.

La vera svolta però arriva nel 1967, quando Luigi Tenco partecipa a Sanremo.

una foto in bianco e nero di Luigi Tenco con Dalidà
By Keystone – 13-GettyImages-104410621-960×1260.jpg on IoDonna, Rizzoli-Corriere della Sera, 7 May 2017, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=69417756-artepassante.it

Morte a Sanremo

L’edizione del 1967 del Festival della Canzone Italiana è tristemente funestata dalla celebre morte del cantautore.
Tenco si presenta all’Ariston con la canzone “Ciao Amore Ciao“. La versione eseguita sul palco è un rimaneggiamento di una canzone dal fortissimo spirito antimilitarista, “Li vidi tornare“, pubblicata solo post-mortem. Il brano, nonostante il rimaneggiamento per renderlo più romantico e meno politico (con interessanti riferimenti a Pasolini), non incontra il gusto della giuria sanremese. Infatti non viene nemmeno ammesso alla serata finale e non supera il ripescaggio. Tenco è preso dallo sconforto.

Luigi Tenco si suicida nella sua camera d’albergo e lascia un biglietto nel quale denuncia la profonda tristezza per l’esclusione della sua canzone, a favore di un pezzo di livello decisamente più basso. Il biglietto recita:
«Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi.»

Secondo le ricostruzioni, il cadavere di Tenco venne rinvenuto da Lucio Dalla e da Dalidà.

La registrazione video dell’ultima esibizione di Tenco è andata perduta negli archivi Rai. Solo nel 2017 è emerso il filmato dell’ultima serata di quell’edizione del Festival: della morte di Tenco, nemmeno una menzione.

Persino i suoi funerali passarono in sordina. Avvenuti a Ricaldone il 30 gennaio 1967, vi presero parte solo Fabrizio De André, la moglie di Gino Paoli, il cantante Michele, Vito Pallavicini, Mogol, i fratelli Gian Piero e Gian Franco Reverberi, Gianni Boncompagni ed Ezio Radaelli.

L’eredità culturale di Luigi Tenco

Quando si parla dell’eredità che un personaggio come Tenco ci ha lasciato, non ci si può limitare alle sue canzoni. Di fatto, la sua parabola nel mondo della musica, fu anche piuttosto breve seppur molto intensa.

Anzitutto, il suo impegno civile. Tenco si è sempre espresso sui temi dell’uguaglianza, della demolizione delle gerarchie (come nella censurata “Cara Maestra”), dell’individualità, dell’antimilitarismo e, non ultimo, dell’amore, ma mai banalmente.
Anche la sua apparizione in “La cuccagna” di Salce, l’idealismo del personaggio interpretato da Tenco, Giuliano, è qualcosa di estremamente radicato e che lui persegue fino alla fine.

Poi, il suo suicidio. Sebbene l’evento al tempo fosse stato riportato solo come un morboso caso di cronaca nera, possiamo almeno oggi analizzarlo come un estremo atto di protesta. Tenco si suicida non perché, come sentenzieranno i giornali, è un giovane capriccioso incapace di reggere la tensione e le delusioni. Il suo è un gesto politico contro il sistema culturale italiano che preferisce le “canzonette” all’impegno, che ritiene la componente artistica nella musica un orpello ornamentale e che fa della musica un mercimonio.

Sicuramente, le parole di cordoglio più belle e che ancora oggi risuonano quando si parla di Luigi Tenco – e che lo commemorano degnamente – sono quelle dedicategli dall’amico Fabrizio De André in “Preghiera di gennaio”. Una strofa della canzone recita: “Signori benpensanti/ Spero non vi dispiaccia/ Se in cielo, in mezzo ai Santi/ Dio, fra le sue braccia/ Soffocherà il singhiozzo/ Di quelle labbra smorte/ Che all’odio e all’ignoranza/ Preferirono la morte”.

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