Marina Abramovich, quando l’arte performativa indaga l’animo umano

Scopriamo di più sull’arte performativa di Marina Abramovich e sul suo importante contributo artistico e psicologico

Marina Abramovich è un’artista che ha contribuito enormemente all’arte contemporanea. Il suo modo di fare arte è in grado di scavare a fondo nell’animo umano e di portarne in superficie gli aspetti più nascosti. 

In questo articolo, prima di tutto, racconteremo chi è questa importante artista, poi ci addentreremo alla scoperta dell’arte performativa e riporteremo un esempio concreto di cosa Marina Abramovich è stata in grado di realizzare, una performance che ha scritto un capitolo importante dell’arte e della psicologia moderna.

Chi è Marina Abramovich?

Marina Abramovich è nata nel 1946 ed è ad oggi l’artista performativa più famosa del mondo. La sua passione per l’arte possiamo dire che sia anta con lei, e questo l’ha portata a dedicarsi al disegno e alla pittura, appoggiata dai genitori e dalla nonna. 

Il suo percorso di studi riflette questa sua grande passione, infatti decide di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Belgrado, dove ottiene la laurea per poi trasferirsi a Zagabria, in Croazia e qui comincia finalmente a dedicarsi alla performance corporea, per poi trasferirsi ad Amsterdam dove la mentalità artistica è più aperta a questo suo nuovo modo di intendere l’arte.

Ed è qui che incontra Ulay, un artista che non solo darà un importante contributo alla sua arte, ma che diventerà per lei un compagno anche nella vita privata. Il loro rapporto artistico e amoroso si è concluso nel 1988 ma nessuno dei due ha perso il profondo rispetto e l’ammirazione che li univa.

Che cos’è l’arte performativa?

Per arte performativa si intende un tipo di arte che prende vita, letteralmente, attraverso chi la osserva e chi la pratica. Si tratta di una performance artistica messa in atto da un artista che può coinvolgere o meno l’osservatore. Da un certo punto di vista la rappresentazione teatrale può essere considerata alla stregua di una performance artistica.

Marina Abramovich e Ulay
Marina Abramovich e Ulay – Photo by Marina Abramović and the CODA Museum licensed under CC BY 3.0 DEED (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/deed.en) – artepassante.it

Marina Abramovich e Ulay hanno portato all’estremo la performance artistica, mettendo in atto rappresentazioni considerate scandalose ma allo stesso tempo potenti. Basti pensare a Rest Energy, eseguita nel 1980 dalla coppia, in cui Marina tendeva l’arco verso di sé stessa e Ulay reggeva la freccia che avrebbe tranquillamente potuto trafiggere Marina qualora avesse interrotto la presa.

Potrà sembrare esagerato e brutale, ma l’obiettivo della performance era mettere in luce la fiducia tra esseri umani anche di fronte a situazioni di pericolo reale, ovvero come tutti noi siamo disposti a fidarci ciecamente di qualcuno anche quando questo qualcuno potrebbe tranquillamente farci del male. Una metafora potente quanto pericolosa. 

Non si tratta dell’unica performance messa in atto dalla coppia, ma sicuramente è una delle più rappresentative, insieme a Death Itself, dove i due hanno continuato a baciarsi respirando l’aria una dalla bocca dell’altro fino a perdere i sensi. 

Insomma, ora forse vi sarà più chiaro quanto estrema, totalizzante e potente possa essere l’arte performativa di Marina Abramovich e sulla volontà dell’artista serba di fare riflettere le persone su aspetti importanti, oscuri, passionali e imprevedibili della loro esistenza. 

Se siete rimasti stupiti da quanto raccontato fino ad ora, probabilmente rimarrete sconvolti da Rhytm 0, una performance d’artista tenutasi nel 1974 a Napoli, di cui stiamo per raccontarvi. 

Rhytm 0 e il lato oscuro e violento dell’essere umano

Il filosofo Hobbes, riprendendo una citazione latina di Plauto, ha basato gran parte del suo pensiero sul: Homo homini lupus, ovvero l’uomo che è lupo per gli altri uomini, sottolineando una natura fondamentalmente malvagia dell’essere umano che arriverebbe ad aggredire l’altro per puro egoismo e senso di potere. 

Non è stato l’unico pensatore a ritenere l’uomo capace di questo, anzi. In molti, tra psicologi e artisti, si sono chiesi: quanto in là potrebbe mai spingersi l’essere umano apparentemente più innocuo?

L’effetto Lucifero

Philip Zimbardo, nel 1971 ha introdotto per la prima volta il fenomeno sociale definito come effetto Lucifero, ovvero l’effetto che spinge un essere umano a comportarsi in modo malvagio e violento nei confronti di altre persone.

Per indagare e definire l’effetto Lucifero, Zimbardo ha condotto un esperimento realizzato nei sotterranei del campus di Stanford, in cui i partecipanti, 24 studenti universitari, dovevano assumere il ruolo di detenuti e guardie.

Ad un certo punto dell’esperimento, gli studenti si sono immedesimati talmente tanto nel ruolo da cominciare ad avere comportamenti assolutamente inattesi. Le guardie hanno cominciato a commettere violenze sui detenuti tanto che Zimbardo ha dovuto interrompere l’esperimento dopo appena una settimana (inizialmente era prevista una durata di 15 giorni).

L’effetto Lucifero dimostra che qualsiasi essere umano, se posto in particolari condizioni ambientali e psicologiche, può arrivare a compiere gesti disumani, sottolineando come sia la situazione a piegarci alla sua volontà e a fare affiorare il male presente dentro di noi: una persona buona può fare cose cattive se la situazione lo impone o lo consente. 

Perché vi abbiamo raccontato tutto questo? Perché la performance di Marina Abramovich messa in atto in occasione di Rhytm 0 si collega alla perfezione con l’effetto Lucifero di Zimbardo, avvalorandone la tesi.

Rhytm 0 di Marina Abramovich

Nello Studio Morra di Napoli, Marina ha disposto 72 oggetti e alcune istruzioni ai partecipanti, ignari del senso della performance o di cosa sarebbe accaduto.

Ecco le poche indicazioni divulgate:

  • Ci sono 72 oggetti sul tavolo che possono essere usati su di me nel modo in cui desiderate
  • Io sono l’oggetto
  • Mi assumo completamente la responsabilità di quello che faccio
  • Durata: 6 ore (dalle 20:00 alle 2:00)

I visitatori dovevo interagire con l’artista con questi oggetti, ma l’aspetto inquietante è che gli oggetti a disposizione spaziavano da piume, candele e cotone, a coltelli, fruste e una pistola carica.

Marina Abramovich è rimasta immobile tutto il tempo, mentre le persone piano piano hanno ceduto al senso di potere, cominciando a farle del male con gli oggetti che avevano a disposizione. Più passava il tempo più si sentivano autorizzati ad infliggere dolore all’artista, che nonostante tutto è rimasta immobile davanti a loro inerme per sei ore, come fosse lei stessa un oggetto alla loro mercé.

Conclusioni inquietanti sull’essere umano

Marina ha dimostrato a sua volta che l’essere umano, se posto nelle condizioni di poterlo fare, è capace di provocare dolore nell’altro e compiacersene. Nessuno di coloro che le avevano fatto del male rimase per il confronto finale con l’artista, tutti si dileguarono per evitare il confronto, per non vederla tornare ad essere l’essere umano che loro avevano torturato fino a poco prima.

“Quello che ho imparato è che se ti affidi e ti abbandoni al pubblico, loro possono arrivare a ucciderti. Mi sono sentita davvero violata, qualcuno mi ha infilato le spine della rosa nello stomaco. Si è creata un’atmosfera aggressiva. Dopo sei ore (come pianificato), mi alzai e iniziai a camminare verso la gente. Tutti scapparono via per sfuggire il confronto vero e proprio. È stata la pièce più pesante che abbia mai fatto, perché ero totalmente fuori controllo.”

Non si può certo dire che la visione artistica di Marina Abramovich sia convenzionale, ma nello stesso tempo apre le porte della psicologia umana all’arte, e fa in modo che le due si uniscano indissolubilmente in ogni performance che mette in atto.

Non stupisce, quindi, che riesca ad affascinare persone in tutto il mondo: con la sua arte mette in luce aspetti dell’animo umano da cui non possiamo fare a meno di restare ipnotizzati, per non dire sconvolti.

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