Lo-Fi: viaggio nell’estetica nostalgica di Internet

La musica – e l’estetica – Lo-Fi hanno caratterizzato la cultura di internet degli ultimi anni. Le ragioni sono diverse e più complesse di quanto si sia portati a credere

Tutte e tutti, almeno una volta, si sono imbattuti in un particolare video su Youtube. Alla ricerca di un sottofondo per studiare o per lavorare, sarà capitato fra i video consigliati quello della “Lo-Fi girl“. Un video in diretta 24 ore su 24, sette giorni su sette. Un morbido beat, caldo e confortante, accompagna la sessione di studio di una ragazza armata di cuffie e di tanta calma. Accanto a lei, un gatto sonnecchia sul davanzale, mentre fuori è buio e dalla finestra rilucono le finestre delle altre case. Già questo potrebbe essere sufficiente per restituire l’idea dell’estetica, della musica e dell’intento della Lo-Fi. Eppure, il fenomeno è ben più sfumato e complesso.

foto di uno studio di registrazione con una tastiera e un mixer
Di Jonas Ahrentorp – Flickr: Will this lo-fi studio work?, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16325678-artepassante.it

Come si definisce la musica Lo-Fi

Per Lo-Fi si intende “low-fidelity“, ovvero bassa fedeltà. Vale a dire una musica realizzata con mezzi non necessariamente professionali. Niente studi di registrazione avanzati, basta della strumentazione di base e un po’ di competenza. In effetti, uno dei motivi per i quali la musica Lo-Fi piace risiede proprio in questo: è piuttosto facile realizzarla, rendendola “democratica”, alla portata di tutti.
L’Oxford Dictionary, nel 2003 e poi nel 2008, definì il genere come una musica a bassa fedeltà del suono, aggiungendo poi l’importanza della forte componente estetica.
Il termine Lo-Fi nasce intorno agli anni ’50 del Novecento, quando iniziano a diffondersi fra le masse e a prezzi più economici non solo i dischi in vinile, ma anche mezzi per realizzare una rudimentale registrazione. Il termine era impiegato per definire infatti una produzione più “casalinga”. Successivamente, negli anni ’80 e ’90, il genere viene riscoperto e ammantato del suo fascino.

In molti si chiederanno perché a una musica con una peggiore qualità del suono si attribuisca tutto questo fascino. Eppure il motivo è proprio lì, nella volontaria sporcatura che rende il prodotto più umano.

La musica Lo-Fi segue uno schema variabile, ma sostanzialmente riassumibile in: un tema musicale anni ’70/’80, un beat hip hop di più recente produzione, e di suoni in sottofondo. Questi suoni possono essere i fruscii di un vinile sul piatto, il rumore del nastro di una cassetta, lo scrosciare della pioggia o l’infrangersi delle onde del mare. O, per fare una scelta più estetica, l’inserimento di vecchi slogan pubblicitari, di spezzoni di discorsi di politici del passato o di vecchi film di culto. Dunque, alla “facile” riproducibilità tecnica, si unisce anche la possibilità di creare una miriade di combinazioni.

Fra i fondatori del genere abbiamo senza dubbio Nunjabes, che iniziò a fondere basi hip-hop con il jazz e la musica elettronica. E poi J-Dilla, il quale – collaborando con diversi artisti della scena hip-hop statunitense –  intuì che eliminando la perfetta sincronizzazione fra note e tempo musicale si poteva conferire alla musica un fluire più umano. L’intuizione fu qualcosa di geniale: sporcando la musica in una delle sue componenti più tecniche, si arrivava a umanizzarla, a farla sembrare più rilassante.

L’inconfondibile estetica Lo-Fi

È impossibile slegare il genere Lo-Fi dalla sua componente estetica. E in qualche misura, il video della ragazza che studia nottetempo accanto alla finestra con accanto il suo sonnacchioso micio ne è un po’ la summa.

L’estetica della Lo-Fi ha una dominate: la nostalgia. Ma non una nostalgia che sa di tristezza e di rassegnazione all’ineluttabile scorrere del tempo. Quella della Lo-Fi è una nostalgia che sa di infanzia, di momenti di pura spensieratezza. Deve restituire, come nel suono così nelle immagini, quel confortante senso di calore e di pace imperturbabile. È per tale ragione che si fa ricorso, nei video, a fotogrammi di vecchi film o di spot televisivi, o (più spesso) di cartoni animati giapponesi anni ’80. La scelta dei colori verte sempre su tinte polverose ma calde, che sanno di vecchie Polaroid, oppure più scure e sature, che richiamano un’idea di notturno e riposante. Spesso, le immagini sono disturbate, sporcate, dalle righe orizzontali o dal cosiddetto “effetto neve”, un rimando alle tv degli anni ’90. Ancora una volta, l’imperfezione dell’immagine conferisce alla visione un valore aggiunto.

Dunque, come nella musica, anche nelle immagini, l’estetica Lo-Fi gioca sull’idea di confort e nostalgia, gli stessi che ci possono regalare un film che conosciamo a memoria, un cartone animato dell’infanzia, un vecchio giocattolo.

immagine in estetica lo-fi di una balconata con panorama di grattacieli
Foto di Anindita Erina Khalil da Pixabay

La musica di una generazione e la riscoperta nel periodo del Covid

Uno degli errori è quello di ricondurre il genere Lo-Fi al filone Chill Out, particolarmente popolare a cavallo fra gli anni ’80 e ’90. Eppure, sarebbe un’analisi cieca e riduttiva, soprattutto da un punto di vista storico.

Il periodo fra gli anni ’80 e ’90 vide una grande crescita economica, una fede quasi inopinabile nel capitalismo e un generale ottimismo. Per tali ragioni, la musica Chill Out, diffusa nei locali e nei pub, aveva il compito di rilassare gli avventori dopo una giornata di lavoro. Oggi, è evidente che i presupposti socio-economici e culturali siano ben diversi. La gioventù di oggi si sente persa. Ha vissuto l’infanzia con la paura del terrorismo, con costanti notizie deprimenti sulla crisi economica e, seppur più tardi, sulla pandemia. Una gioventù che fatica a trovare lavoro, e che deve anche cercare di mantenere una facciata apparentemente serena. Una generazione che ha sdoganato l’andare in terapia, perché non si può fare altrimenti per far fronte alle difficoltà del quotidiano.

È qui che entra il gioco il ruolo della Lo-Fi. Una musica dallo schema sì ridondante, ma confortante e in grado di placare, per qualche ora, gli stati d’ansia che caratterizzano a volte le ore di studio o di lavoro dei Millennial e dei Gen-Z.

Molte persone hanno trovato conforto nella Lo-Fi specie nel periodo della pandemia del Covid, quando in tutto il mondo un virus è stato in grado di annullare la socialità. Altra ferita inferta a una generazione già fragile. Vivere in quarantena ci ha in qualche modo riportati a una condizione bellica di reclusione forzata, e il ruolo di questa musica, che con la mente rimanda a un immaginario sereno e conciliante, è stato lenitivo per alcune persone.

Insomma, si potrebbe dire, senza sbagliare, che la musica Lo-Fi è uno specchio dei tempi odierni. Di una generazione (o meglio, di due generazioni) che vive delle gravissime difficoltà. Difficoltà che però riescono a trovare conforto in una musica che dona un breve momento di conforto. E che ci ricorda che, almeno in passato, almeno a volte, siamo stati felici.

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