“Un mondo a parte” e la disillusione dell’idillio bucolico

Recentemente uscito nelle sale, “Un mondo a parte” ci parla delle difficoltà di chi vive nelle aree interne, superando la romanticizzazione della vita bucolica

Il nuovo film con Antonio Albanese e Virginia Raffaele vede Michele (Albanese), placido insegnate elementare, trasferitosi nel cuore dell’Abruzzo. Un classico borgo montano delle aree interne insomma, immerso nelle meraviglie naturali della “Regione Verde d’Europa”. Uno di quei luoghi che, dopo il Covid, è stato riscoperto dal turismo. Eppure l’idillio bucolico del maestro, proveniente dalla tentacolare Roma, si infrange presto di fronte alle difficoltà della popolazione locale.

Entroterra: tra natura e disagi

Un soggiorno in una località montana, difficile da raggiungere e spesso abitata solo nei mesi estivi – o, nella migliore delle ipotesi, sotto le feste -, rappresenta spesso un’occasione di fuga per molti. Eppure quello che per i turisti è una semplice meta di vacanza, è in realtà per gli autoctoni una costante fonte di difficoltà sotto molteplici punti di vista.

Parliamo di quelle che vengono chiamate “aree interne“. Rispondono a tale caratteristica quei piccoli nuclei urbani che distano più di venti minuti da una “città polo”, ovvero quella che offre scuole (fino alle superiori), almeno un ospedale e una stazione ferroviaria. Già a partire da tale definizione, è facile arrivare a comprendere l’entità del disagio vissuto in certe aree del nostro Paese.
Si pensi ai più basilari bisogni. Anzitutto, la possibilità di trovare un lavoro in aree economicamente più depresse. Poi, fare la spesa, per esempio, comporta l’uso obbligato di un macchina per raggiungere il centro cittadino più vicino. E poi, spesso tanto vicino non è.
Si pensi ai servizi essenziali come le poste, le banche. O anche semplicemente degli ospedali dove recarsi agilmente in caso di bisogno. Ma anche all’assenza di una rete di trasporti che possa essere in grado di permettere agli abitanti di muoversi qualora necessario – sia per studio che per lavoro – senza dover necessariamente contare su mezzi di proprietà. Per non parlare di quanto il disagio si ingigantisca per le persone con disabilità.

Non sorprende che allora molti – chi può – stiano decidendo, progressivamente, di abbandonare queste aree per spostarsi in centri più grandi. Una città anche di dimensioni medie rappresenta per i giovani e per le famiglie un cambiamento sostanziale, per via di una qualità di vita più soddisfacente. Infatti, la tendenza vede una crescita delle “città polo” e degli hinterland, e un brusco calo del numero di abitanti per le aree interne.

una veduta aerea del paese montano di Opi
Di Carlodirocco – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=43791159-artepassante.it

Un mondo a parte e le scuole dell’entroterra

Con Un mondo a parte Riccardo Milani porta sul grande schermo la realtà di una scuola dell’Appennino abruzzese, immersa nel verde di lussureggianti montagne. Il protagonista della vicenda è Michele, maestro elementare che da Roma arriva in Abruzzo. Come molti, il suo arrivo nel borgo è preceduto da una serie di fantasticherie sulla vita bucolica che lo attende. Ciò che trova è una scuola composta da una pluriclasse di sette alunni. Michele si deve perciò confrontare con una realtà molto diversa da lui idealizzata e sperata. Trova una terra bella ma dura, difficile, dove le temperature arrivano a -25 in inverno. Trova una popolazione che vede nella natura una nemica, un ostacolo concreto a una vita davvero tranquilla.

Ciò che di importante fa Un mondo a parte è ricordare un problema che affligge le aree interne più delle città, cioè la povertà educativa. Per povertà educativa si intende la serie di impedimenti che i minori devono affrontare per poter accedere all’istruzione. Questo tema fa proprio da fil rouge a tutta la narrazione del film. Michele si scontra con una realtà tanto periferica da constatare che l’istruzione non è affatto un diritto per tutti i bambini, non come lo è a Roma o in altre grandi città.

I bambini e i ragazzi che vivono in aree come quella di Rupe (borgo fittizio del film, girato in realtà a Opi, in provincia dell’Aquila) sono costretti alla pluriclasse fino alle elementari. E poi, per le medie e le superiori, a levatacce all’alba per prendere l’unico mezzo di trasporto che possa condurli al centro abitato più grande. L’esistenza stessa degli istituti è messa a repentaglio, dal momento che spesso l’accorpamento delle classi altro non è che il preludio alla loro chiusura definitiva.

Il pericolo che più si teme è quello della dispersione scolastica, l’abbandono della scuola da parte dei ragazzi appena possibile. Una problematica anch’essa figlia del disagio di certe aree geografiche più abbandonate a loro stesse. L’inefficienza dei trasporti, l’insufficienza di insegnanti disposti a trasferirsi o a viaggiare per raggiungere questi plessi scolastici e la mancanza di stimoli culturali concorrono all’aggravio della già tragica situazione.

Infatti anche nel film la scuola elementare di Rupe chiuderà a giugno per mancanza di iscritti, costringendo i bambini a spostarsi in una cittadina più grande e più turistica, nell’Alto Sangro. Michele e Agnese (interpretata da Virginia Raffaele) hanno poco tempo, ma sono decisi a salvare il piccolo istituto “Cesidio Gentile”.

Antonio Albanese e Virginia Raffaele in una scena del film "Un mondo a parte"
https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/cinema/2024/04/01/un-mondo-a-parte-di-milani-film-piu-visto-nel-giorno-di-pasqua_a1df6b6b-e60c-4535-bcec-e9975b26047b.html-artepassante.it

Un mondo a parte: dal film alla realtà

Un altro pregio di Un mondo a parte è quello di mettere in luce delle problematiche reali vissute da chi certe aree le abita tutto l’anno, confrontandosi con condizioni a volte estreme.

Per le persone che provengono dalla città, le aree interne del nostro Paese hanno iniziato a rappresentare, specie nell’era post-pandemia, una meta ambitissima del turismo. Luoghi di pace nei quali sentirsi a contatto con la natura, ammantati di quel fascino bucolico fatto di pane preso ancora caldo dal fornaio, frutta fresca comprata dai contadini locali, cibo genuino e aria pulita dei grandi boschi. Eppure, esattamente come accade al protagonista del film Michele, spesso la realtà quotidiana con la quale ci si poi confronta è ben diversa da quella immaginata.

La realtà che Michele trova è quella di un disastro umano annunciato, ma ancora recuperabile. Di una mancanza di cura da parte delle amministrazioni locali nei confronti delle poche persone che abitano quei borghi inerpicati sulle montagne. Di una politica che dimentica la scuola, che sembra rinnegarne l’importanza, la centralità nella vita dei bambini.

Il salvataggio di una scuola di montagna, come quella fittizia dell’altrettanto fittizio borgo di Rupe, diventa un faro di speranza per altri istituti che assistono al progressivo abbandono.

Un film che mette in scena quella rassegnazione che Ignazio Silone rimproverava ai suoi corregionali, con quel concetto di “croce” che ognuno deve necessariamente portarsi. Una commedia che scherzando prende sul serio un problema che dovrebbe preoccuparci un po’ di più. E che ci ricorda che senza cultura non si può vivere.

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