Dagli allievi di Raffaello ad Arcimboldo: il Manierismo in Italia fuori Firenze, origini, sviluppo, i maggiori artisti
Tra gli anni ’10 e gli anni ’50 del Cinquecento a Roma si formò una vivace cerchia di artisti che si sviluppò sotto l’influenza di Raffaello Sanzio.
Dopo la sua scomparsa, nel 1520, questi artisti ereditarono le sue commissioni e continuarono a sviluppare il suo linguaggio artistico, soprattutto durante il pontificato di Clemente VII, noto anche come Giulio de’ Medici.
Questa fiorente stagione del Manierismo subì però una brusca interruzione nel 1527, anno del sacco di Roma: questo evento causò la dispersione degli artisti che lavoravano nella città in quel periodo, tra cui anche il Rosso Fiorentino, che fu imprigionato per un certo periodo e successivamente si rifugiò a Perugia.
Tra gli artisti che lasciarono la capitale dello Stato Pontificio vi fu Giulio Pippi, meglio conosciuto come Giulio Romano, che giunse a Mantova nel 1524. Qui entrò al servizio dei Gonzaga e rimase nella città per il resto della sua carriera.
Giulio Romano fu uno dei migliori allievi di Raffaello e, all’inizio della sua carriera a Roma, dimostrò una stretta affinità con lo stile del grande maestro di Urbino. Tuttavia, elaborò presto un linguaggio artistico diverso e molto originale.
Cosa fece? In pratica reinterpretò il classicismo raffaellesco, ma superò gli equilibri convenzionali, creando opere caratterizzate da linee fluide e dinamiche, oppure da un’intensità drammatica che sfiorava il grottesco.
Un esempio eclatante è la celebre Camera dei Giganti a Palazzo Te a Mantova, di cui Giulio Romano fu sia architetto che decoratore. A Mantova, collaborò con Francesco Primaticcio, che successivamente sviluppò un classicismo elegante e vigoroso, influenzato dal contatto con il Rosso Fiorentino a Fontainebleau.
Tra gli artisti presenti a Roma nel 1527, anche se non faceva parte degli allievi di Raffaello, c’era Francesco Mazzola, meglio conosciuto come il Parmigianino.
Originario di Parma, lasciò Roma per trasferirsi a Bologna nel 1527. Il Parmigianino, già affermato pittore, era fortemente influenzato dall’arte del Correggio nelle sue prime opere, come gli affreschi illusionistici delle Storie di Diana e Atteone a Fontanellato.
Parmigianino era noto per la sua eleganza e la sua eccentricità, le quali caratterizzarono gran parte della sua carriera, con pitture ricche di simbolismi e invenzioni originali, in linea con lo spirito bizzarro del Manierismo condiviso da altri artisti del tempo.
Giorgio Vasari riportò che Parmigianino si appassionò all’alchimia, trascurando l’arte e se stesso, e morì prematuramente a trentasette anni. Tuttavia, è improbabile che questa passione abbia influenzato così pesantemente la sua vita.
Il Parmigianino sviluppò uno stile personale che rifiutava ogni convenzione, distorto nelle proporzioni (come nella Madonna dal collo lungo) e nello spazio (come nella Pala di San Zaccaria), con pennellate tese e veloci che aumentavano il senso di straniamento delle sue opere.
Polidoro Caldara, noto come Polidoro da Caravaggio, fu uno dei pochi artisti a lasciare Roma per il sud: attivo a Napoli e in Sicilia, diede una sua interpretazione del classicismo raffaellesco combinato con atmosfere nordiche e una carica patetica ed emotiva, come si vede nell’opera Andata al Calvario a Napoli.
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